In viaggio nella Cuba di Hemingway : libri, mojitos e rivoluzione
Pur essendo americano, Ernest Hemingway ha amato Cuba, forse più di quanto ha amato il proprio paese. Sarà per questo che l'isola caraibica è spesso presente nelle sue opere e lo ricorda ancora oggi con immutato affetto?
“Sono molto felice di stare nuovamente qui perché mi considero un cubano”.
In questa frase, pronunciata da Ernest Hemingway durante un'intervista rilasciata a un giornalista della rivista Prensa Latina, c'è tutto l'amore del grande scrittore per Cuba.
Un amore testimoniato non solo dai lunghi soggiorni nell'isola caraibica, ma anche dall'ambientazione di alcuni dei più bei romanzi dell'autore, che proprio qui videro i suoi straordinari personaggi prendere vita.
Lo scrittore approdò a Cuba per la prima volta nel 1928 e da lì in poi vi tornò più e più volte, al punto di poter affermare che, nonostante la sua vita girovaga, l'isola è stata il luogo in cui ha vissuto più a lungo.
Perché vi tornava continuamente? Perché amava il mare, i sigari e il Mojito, certo, ma la vera riposta, molto probabilmente, si cela dietro un'altra frase dello scrittore, estremamente rivelatrice.
Nel 1934 su Esquire, infatti, Hemingway affermò che la sua aspirazione era scrivere storie “più reali di come sarebbero state, se fossero successo davvero”.
E quale posto migliore per trovare ispirazione, se non la Cuba della prima metà del Novecento, quando era attraversata da personaggi storici di primo piano e da fermenti rivoluzionari in grado di nutrire la sua innata propensione per i valori di giustizia e libertà?
Hemingway e Cuba: un amore ricambiato
Ernest Hemingway amò Cuba e l'isola lo ricambiò con passione. Dopo la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, la pubblicazione dei suoi primi romanzi, tra cui “Addio alle Armi”, che lo catapultò nell'olimpo della letteratura contemporanea, e un secondo matrimonio, lo scrittore inaugura lo stile di vita che gli è più congeniale: avventuroso, pericoloso e sregolato.
Ma prima di approdare a Cuba, la vita gli fece compiere un lungo giro, durante il quale maturerà quella consapevolezza politica che, molto probabilmente, gli permise di comprendere ed apprezzare gli avvenimenti storici che sconvolgeranno l'isola negli anni a venire.
Innanzitutto fu la Spagna, paese con il quale lo scrittore ebbe un lungo sodalizio: amò a dismisura il mondo delle corride, Pamplona e i toreri al punto che furono di ispirazione per un altro suo romanzo di successo, “Fiesta”.
Ma lo scrittore viaggiò molto anche in Italia, negli Stati Uniti e in Africa e fra un viaggio e l'altro, tornava spesso a Cuba, da solo o in compagnia della moglie, soprattutto per partecipare a battute di pesca d'altura, sport al quale si era appassionato.
Ma nel 1936 la Guerra Civile spagnola lo richiamò a Madrid, dove fece base per seguire come inviato speciale la rivolta contro la giunta militare, dove conobbe la sua futura terza moglie, Martha Gellhorn, anch'essa giornalista e scrittrice, e da dove assistette all'uscita di un altro suo grande romanzo di successo, “Avere e non avere”.
Anzi, più che un romanzo, una trilogia di racconti, scritti in momenti diversi, accomunati solo dal protagonista, Harry Morgan, e dal filo conduttore: le ingiustizie sociali e l'inevitabile sconfitta dei più deboli.
E ovviamente da Cuba e il suo mare, con le sue trasparenze, le sue correnti e i suoi immancabili pesci spada, che lo scrittore conosceva così bene e così tanto amava.
Cuba diventa casa
Negli anni Quaranta Hemingway rimane sempre più a lungo sull'isola: dopo il lungo soggiorno nel 1939 per scrivere “Per chi suona la campana”, lo struggente romanzo sulla guerra civile spagnola, lo scrittore vi torna nel 1940 e questa volta decide di compararvi casa.
Fino a quel momento, infatti aveva sempre soggiornato nella camera n° 511 dell'Hotel Ambos Mundos, ma questa volta c'è Martha al suo fianco e per il compleanno della donna le regala La Finca Vigia, una tenuta fatiscente che gli assorbirà parecchio denaro negli anni a venire.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Hemingway decide di dare il suo contributo, ma non avendo alcuna voglia di abbandonare Cuba, si reca all'ambasciata americana a chiedere armi e attrezzature per intraprendere un'attività di controspionaggio nei mari dell'isola.
Grazie alla sua barca Pilar, compagna di tante battute di pesca, lo scrittore si lancia in perlustrazione nelle acque cubane, a caccia di sottomarini tedeschi.
Fortunatamente, non ne incrociò mai, anche perché il suo equipaggio era composto da contrabbandieri di armi, ma anche da amici di bevute e prostitute.
Insomma, non aveva un esercito al seguito, ma solo tanta voglia di dare il proprio contributo alla causa antifascista e, diciamolo pure, di ricominciare a sentirsi vivo, dopo tanta quiete.
Ma alla fine si arrese e grazie a un incarico riuscì a raggiungere l'Europa per documentare l'invasione alleata, un viaggio da cui tornò più in forma che mai e con una quarta moglie, Mary Welsh.
E nel 1950, nell'aria tropicale dell'isola, lo scrittore scrisse il suo capolavoro, o quantomeno il romanzo che nel 1954 gli fece meritare il Nobel per la Letteratura: “Il vecchio e il mare”, una storia che prende spunto dall'approfondita conoscenza che aveva dei pescatori cubani, delle loro giornate, dei loro umori e delle loro condizioni di vita.
Il protagonista del libro è, infatti, un vecchio pescatore, che lotta fino all'ultimo momento contro le avversità del mare e della vita e che, alla fine, si arrende alla prepotenza del più forte.
Un tema, questo della sconfitta, che riecheggia in molti romanzi di Hemingway e diventa lo spunto per amare riflessioni sulla vita e sul bilancio che ogni uomo, prima o poi, fa della propria esistenza.
E forse lo scrittore aveva davvero cominciato a fare i conti con la propria, perché sebbene uscito postumo, fu proprio a cavallo tra il 1950 e il 1951 che scrisse la trilogia “Isole nella corrente”, in cui accompagna il protagonista lungo diverse fasi della sua vita.
Un viaggio lungo il quale si inerpica in profonde riflessioni esistenziali, al termine delle quali pare davvero che l'uomo sia solo un'isola nella corrente, sempre in lotta con il quotidiano e con la propria natura.
Negli anni Cinquanta, inoltre, lo scrittore ebbe un grave incidente aereo in Africa, che gli lasciò lesioni permanenti al cervello le quali, sommate all'abuso di alcol, di sicuro non fecero bene all'umore dello scrittore, che cominciò a soffrire di disturbo maniaco-depressivo, curato addirittura con numerosi elettroshock.
Nonostante i ricoveri, in realtà lo scrittore non si riprese mai abbastanza per tornare alla vita precedente e, verso la fine degli anni Cinquanta, abbandonò per sempre Cuba per tornare a vivere a Ketchum, dove nel 1961 morì suicida, sconfitto dalle paranoie e dalla depressione.
Il tributo dell'Isola. Itinerari di viaggio allo scoperta di Hemingway
Sono passati decenni da quando Ernest Hemingway ha per l'ultima volta lasciato la sua impronta sui marciapiedi dell'Avana e nei locali dell'isola, eppure tutto parla di lui.
Strano a dirsi, ma sembra proprio che Cuba voglia ricordare il grande scrittore a tutti i costi e celebrarlo anche a distanza di tanti anni dalla sua morte.
A cominciare dall'Hotel Ambos Mundos nella capitale, in cui lo scrittore risiedette dal 1932 al 1939. Qui la sua camera, la n° 511, è rimasta com'era: conserva libri, carte e la macchina da scrivere, strategicamente posta di fronte a quella finestra, da cui chissà quante volte l'autore ha fatto volare il proprio sguardo, alla ricerca d'ispirazione.
E che dire dei suoi locali preferiti, quelli in cui l'alcol scorreva a fiumi e le chiacchiere proseguivano fino all'alba? Sulla parete della Bodeguita del Medio, un bar ristorante della città, frequentatissimo dallo scrittore, ancora campeggia una frase dello stesso Hemningway: “My Mojito in la Bodeguita, my Daiquiri in El Foridita”.
Ed è proprio in quest'ultimo bar, il Floridita, che avviene il tripudio: in questo locale, frequentato da personaggi del calibro di Jean-Paul Sartre ed Ezra Pound, potrete sorseggiare il vostro Daiquiri in compagnia di Hemingway, o meglio della sua statua a grandezza naturale, o fare due chiacchiere davanti al busto dello scrittore, posto proprio accanto all'elegante bancone.
Ma non c'è storia: se volete entrare nello stesso mood che avvolgeva le giornate di Ernest Hemingway dovete recarvi alla Finca Vigia, la splendida villa lontana dal trambusto dell'Avana e situata nel placido villaggio di San Francisco de Paula.
Oggi non è molto diversa da come doveva essere quando lo scrittore vi componeva le sue opere o godeva della compagnia di personaggi illustri, amici pescatori e compagni di bevute.
Bellissima, adagiata su una collina di fronte al mare, la villa fu tanto teatro di progetti spericolati, come quello della caccia ai sottomarini tedeschi, quanto di chiacchiere e serate con i protagonisti più in voga del jet set internazionale, come Gary Cooper e Ava Gardner.
Ogni stanza è ricca di libri, e cimeli di caccia e pesca, la sua passione, ed ognuna di esse si affaccia su un rigoglioso giardino tropicale, con vista sul mare. Quello stesso mare che lo scrittore amò con indomita passione e che ispirò il suo romanzo più noto, quello che gli valse il premio Nobel.
Cuba è un'isola generosa, come lo è il suo popolo, e non dimentica. Non dimentica chi l'ha amata più della sua stessa patria, chi ha avuto il coraggio di mettersi in gioco, pericolosamente, per condividerne valori e battaglie, chi ha espresso il proprio sostegno per la sua causa, quando non era affatto scontato farlo e, anzi, tutto il mondo si impegnava per screditare la rivoluzione cubana e il suo Lider Maximo.
Perché sebbene Hemingway non fosse stato un comunista, non poté fare a meno di essere amico della rivoluzione cubana, così come lo fu di tutte le rivoluzioni, quando queste significavano giustizia e indipendenza.
E se anche lo scrittore finì la sua vita negli Stati Uniti, a noi piace ricordalo lì, nella sua villa cubana, mentre sorseggia un Mojito e fuma un Cohiba, sognando avventura e libertà.
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