Josef Koudelka. Animo praghese, vita da esule
Josef Koudelka è un fotografo atipico. Nel corso della sua carriera è passato dal reportage sociale a quello di guerra, per approdare alla fotografia archeologica. Ma è sempre il tema del viaggio che sembra essere il vero principio ispiratore di Koudelka. "Il miglior consiglio per un aspirante fotografo? Compra un buon paio di scarpe".
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Josef Koudelka - La vita
Josef Koudelka, nasce nel 1938 a Boskovice, una delle comunità ebraiche più grandi della Moravia. È attivo come ingegnere aeronautico fino al 1967, quando si decide di dedicarsi interamente alla sua passione per la fotografia. Koudelka aveva iniziato a scattare già a 12 anni, ma decise di raccogliere e vendere fragole nei paesi vicini per poter acquistare la sua prima macchina fotografica.
Nel 1968, realizza uno dei piú grandi reportage della storia della fotografia : la testimonianza della repressione nel sangue della Primavera di Praga, poi raccolta nel fantastico libro Invasion 68 , che gli vale il Premio Robert Capa e 20 anni di esilio dalla Cecoslovacchia.
Divenuto membro della Magnum nel 1971, realizza numerosi servizi. Fino ad oggi, a testimoniare l'importanza della sua fotografia, ha ottenuto prestigiosi premi e significative esposizioni del suo lavoro sono in musei come il Museum of Modern art di New York e il Centro Pompidou di Parigi.
Ancora attivo, nel 2021 si tiene la sua mostra Radici, che documenta trent'anni di viaggi fra le rovine della storia umana.
Josef Koudelka - La fotografia
Si può dire che Koudelka abbia portato tutti i temi classici del decadentismo nell'arte fotografica. Un decadentismo dal gusto francese, con temi noir e di abbandono, con immagini sfumate che trasmettono desolazione e alienazione.
La sua prima serie di scatti, il cui libro vincerà l'importante Premio Nadar, racconta la realtà delle società nomadi di gitani (“Gypsies”) in un viaggio che attraversa tutta Europa: Boemia, Slovacchia, Moravia, Ungheria, Romania, ma anche Francia e Spagna. Mentre Rom e Sinti vengono considerate società inferiori a causa del loro nomadismo, Koudelka ne nota la libertà e la spiritualità, osservando la loro vita con delicatezza e con la finezza di un antropologo.
Anche il suo animo è vagabondo. In un’intervista dirà: “Sono diventato quel che sono perché sono nato così, ma anche per quello che la fotografia ha fatto di me. Alcuni mi chiedono, ‘sei ancora ceco, o sei francese?’. Non so chi sono – chi mi vede dall’esterno potrebbe dire chi sono. Sono il prodotto di questo continuo viaggiare, ma so da dove vengo.”
Lo stile in bianco e nero, con contorni nitidi e figure sfumate, nonché il lungo viaggiare per le terre protagoniste dei suoi scatti, saranno caratteristiche della sua intera carriera fotografica. La sua vita nomade era parte stessa dell'esperienza fotografica, tant'è che nel corso della sua carriera non ha mai passato più di tre mesi nello stesso posto.
Questo fatto, assieme al suo rifiuto di vendere le sue foto e di lavorare su commissione che non fosse dei giornali, ha contribuito a rendere Josef Koudelka una figura avvolta dalla leggenda. Il fotografo stesso ha dichiarato più volte l'indispensabilità del suo stile di vita per il suo lavoro: durante un'intervista, alla domanda su quale fosse la cosa più importante per un fotografo rispose “un buon paio di scarpe”.
Alla sua filosofia di vita si affiancano gli eventi politici che in quel momento stavano sconvolgendo non solo il suo paese natio, ma l’Europa e il mondo intero. La guerra era finita, ma un altro tipo di conflitto serpeggiava nei paesi dell’Est.
Koudelka cerca di immortalare un mondo che sta finendo, quello dei nomadi, e allo stesso tempo di catturare i cambiamenti industriali, politici e sociali che hanno portato gli Stati a diventare delle vere e proprie macchine da guerra.
E’ impossibile non mettere a confronto questi due mondi: da un lato il sogno di una vita tranquilla, rurale, che sembra anche più autentica; dall’altro combattere per un ideale in cui non si crede fino in fondo, lavorare per un progetto altrui, seguire un’etica lavorativa ed esistenziale che è evidentemente troppo stretta.
Il reportage sulla Primavera di Praga - Invasion 68
Koudelka era appena tornato a Praga dopo un viaggio in Romania quando i sovietici invasero la città nel 1968 per reprimere il riformismo ceco. Questa
Le pellicole con le immagini scattate da Koudelka quel giorno, e che oggi rappresentano la più importante testimonianza dell'ingresso a Praga delle forze militari del Patto di Varsavia, attraversarono clandestinamente mezza Europa fino ad arrivare proprio nelle mani dell'agenzia Magnum di Robert Capa, Cartier-Bresson ed Elliot Erwitt, grazie ai quali riuscì ad ottenere l'asilo politico in Inghilterra.
Per il timore di rappresaglie, le sue foto circolarono a lungo sotto il nome anonimo di Prague Photographer (P.P.), il fotografo che aveva tanto coraggiosamente immortalato le figure umane di una Praga violata e spettrale attraverso il suo cupo occhio in bianco e nero.
Dalle immagini emerge una calma innaturale, mentre gli uomini, visibilmente eccitati, trasformano il mite panorama cittadino in un teatro surreale.
I russi, che nel ‘45 avevano liberato la Cecoslovacchia dal nazismo, ora erano tornati per occupare il paese. E Koudelka racconta il loro arrivo e l'inizio di quella tragica giornata che lo ha lanciato nell'olimpo della fotografia :
“Il telefono squilla alle 4 del mattino, rispondo, un'amica grida: 'Sono arrivati i russi'. Penso a uno scherzo e abbasso. Suona una seconda volta,non ci credo e riattacco di nuovo. Alla
terza telefonata la voce urla: 'Apri la finestra e ascolta'. Mi alzo, metto la testa fuori per due minuti e sento il rumore degli aerei militari.
Capisco che sta succedendo qualcosa. Mi vesto in fretta,prendo la macchina fotografica e tutte le pellicole che mi sono rimaste, ero tornato solo il giorno prima dalla Romania dovero stato a fotografare gli zingari.
Scendo in strada, comincia appena ad albeggiare, istintivamente mi dirigo verso la sede della Radio, a meno di un quarto d'ora da casa.I russi erano andati alla Radio anche nel 1945. Ma allora erano venuti per liberarci.
La prima cosa che vedo è un automobile d'epoca con il tetto scoperto che suona senza sosta il clacson per svegliare la città, a bordo ci sono tre ragazzi e una ragazza con una bandiera ceca.
Gridano la stessa frase che ho sentito al telefono: sono arrivati i Russi!"
L' esilio in Europa ed in America - Exiles
L'esilio conseguente all'esperienza dell'invasione di Praga, lo porterá ad una riflessione sulla condizione umana e spirtuale dell'esule, che troverá espressione nel celeberimmo libro
“Exiles”, una raccolta di fotografie per lo più scattate durante gli anni delle peregrinazioni
di Koudelka attraverso l'Europa e gli Stati Uniti .
Anni in cui Koudelka viaggia incessantemente, in cui non ha una fissa dimora, in cui dedica tutto sé stesso a esclusivamente alla ricerca fotografica, viaggiando e sopravvivendo con il minimo indispensabile, ma sentendosi totalmente libero.
Le sue fotografie hanno la capacitá di racchiudere in uno scatto i tratti universali i della condizione umana : "I contrasti. La vita, la morte. Il buio e la luce. I bambini e gli anziani che l’età ha ripiegato su stessi." Immagini al tempo stesso forti, misteriose e poetiche.
Il viaggio intorno al Meditarenneo - Radici
A partire dal 1986 dalle foto di Koudelka spariscono le persone e subentrano le rovine architettoniche. Koudelka intraprende un viaggio intorno al Mediterraneo che ha dell'incredibile : piú di 30 anni, 19 Paesi visitati, alla ricerca delle radici della civilitá europea, di cui si trova ancora traccia nelle rovine archiettoniche che punteggiano i contorni del mare nostrum.
L'archeologo Alain Schnapp ha definito la testimonianaza di Koudelka come un capolavoro unico, capace di dare una visione completa di quel che rimane, vestigia, rovine, opere d’arte e resti del passato, della nostra storia antica. Le foto di questo viaggio, sono raccolte nel bellissimo libro Radici
Parlando delle sue opere Koudelka dice: “Non so cosa sia importante per le persone che guardano le mie foto. Quello che è importante per me, è il fatto di farle. Io non lavoro per provare il mio talento. Io fotografo quasi tutti i giorni, tranne quando fa troppo freddo per viaggiare a modo mio.… Quando vivi in un luogo a lungo, diventi cieco perché non osservi più nulla. Io viaggio per non diventare cieco”.
Il viaggio nomade non è semplicemente uno stile di vita o una necessità lavorativa, ma è il modo in cui il fotografo riesce a continuare a osservare e a vivere i posti, prima di catturarli con il suo obiettivo.
Una vita trascorsa a cavallo tra due mondi, un’anima divisa tra un passato bucolico e un presente troppo grigio; le foto di Koudelka sono un dialogo fotografico tra queste due diversissime realtà.
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