“Nelle terre estreme. Into the Wild" di Jon Krakauer
Potente, emozionante, duro, evocativo. Questo libro è tutto ciò è anche di più, esattamente come lo è la terra che ha fatto da destinazione finale al viaggio del protagonista.
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Entrato di diritto nella letteratura di viaggio, “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer è uno di quei libri che arriva dritto nello stomaco, come un pugno ben indirizzato. Il motivo non è solo perché è ambientato negli sconfinati territori americani e soprattutto nella natura selvaggia dell'Alaska. Il vero motivo risiede nel fatto che il noto autore americano, appassionato di alpinismo, non racconta una delle sue avventure, ma quella di uno sconosciuto, che oggi non è più fra noi a potercela narrare.
“Sulla porta socchiusa era affisso un biglietto allarmante. Scritto a mano, in stampatello nitido, su una pagina strappata da un romanzo di Nikolaj Gogol, diceva: «S.O.S Ho bisogno del vostro aiuto. Sono malato, prossimo alla morte e troppo debole per andarmene a piedi. Sono solo, non è uno scherzo. In nome di Dio, vi prego, rimanete per salvarmi. Sono nei dintorni a raccogliere bacche e tornerò stasera. Grazie. Chris McCandless».
Questa, infatti, è l'ultima testimonianza di quel ragazzo, partito alla ricerca della propria libertà e sconfitto dalla natura. Chris morirà poco dopo, solo, in un piccolo autobus abbandonato, proprio mentre meditava di tornare alla civiltà e ai suoi affetti. Ma andiamo con ordine, dall'inizio alla fine, senza preoccuparci dell'eventuale spoiler, perché la vicenda è straconosciuta, ma soprattutto perché ciò che dà valore a questo libro non è l'epilogo, ma il procedere. Esattamente come avviene in un vero viaggio.
Nelle terre estreme per fuggire dal consumismo
Jon Krakauer viene a conoscenza della storia di Christopher McCandless per caso, scrivendo un articolo per l'Outside Magazine. Ma qualcosa della vicenda di quel giovane deve essergli rimasta dentro, perché assecondando l'enorme interesse mediatico suscitato da quella storia, decide di approfondirla.
Grazie all'aiuto della famiglia e delle testimonianze di tutti coloro che ebbero il piacere di conoscere il ragazzo durante quei due anni di vagabondaggio, Krakauer ricostruisce
minuziosamente il viaggio di Chris, dall'addio alla vita borghese, a quegli ultimi, drammatici giorni trascorsi in attesa di morire. Una ricostruzione resa ancora più viva da corposi passi del diario del giovane, ritrovato dopo la sua morte, che raccoglie minuziosamente sia momenti di vita, sia riflessioni sull'esistenza, sull'andare, sul viaggio, che scopre essere fonte inesauribile di conoscenza e consapevolezza.
Un viaggio che inizia soprattutto come ribellione nei confronti della sua famiglia, agiata e borghese, in cui Chris non si riconosce e non ne condivide i valori e gli obiettivi. Una ribellione che piano piano si estende anche contro la società, costruita sul profitto e il benessere, che allontana l'essere umano dalla felicità vera, quella a contatto con la natura, quella in cui l'unico scopo è quello di essere utili agli altri, quello di condividere i risultati dei propri sforzi e la gioia di vivere.
Una ribellione portata alle estreme conseguenze, nonostante questo non fosse il proposito del protagonista.
Il viaggio come rinascita
All'inizio fu l'allontanamento dalla famiglia, di cui scopre segreti che lo mandano in crisi. Chris rinuncia a tutti i suoi beni, che non erano pochi vista l'agiatezza in cui viveva, e parte per un lungo viaggio a tempo indeterminato per gli Stati Uniti, percorsi prima in macchina, poi con mezzi di fortuna e in autostop.
Lungo la strada conosce persone che lo ricordano come un ragazzo gentile, educato, colto e con le quali condivide tempo ed esperienze intense, ma nonostante ciò riparte. Sempre. Come se non volesse trattenersi troppo, come se volesse evitare l'instaurarsi di un legame troppo stretto, quel tipo di legame per il quale, alla fine, si rimane. Perché andare era il suo obiettivo, prima ancora della destinazione.
Un vero viaggiatore, come i tanti restituiti dalla letteratura di viaggio. Un viaggiatore che
sente l'urgenza di muoversi per lenire un dolore, per riempire un vuoto, ma anche per mettersi alla prova e sperimentare un nuovo modello di vita, più vero, meno ipocrita e decisamente anticonvenzionale.
Chris si muove come un'asceta in un mondo che non sente suo, approfittando di quei pochi lavoretti che trova per mettere da parte qualche soldo. Ma solo per poter andare ancora più lontano. Fino a prendere la grande decisione: raggiungere l'Alaska, l'emblema della wild life, del contatto e della sfida con la natura. Il modo per sconfiggere il falso se stesso e ritrovare la sua vera natura, lontano dai veleni della società moderna e consumistica.
Into the wild
“Into the wild” è il titolo originale di questo libro di viaggio, tre parole che rendono infinitamente meglio il senso del viaggio di Chris. Non c'è alcun dubbio che l'Alaska sia una terra estrema, ma una cosa è affrontare il clima impietoso e la natura incontaminata di una terra ancora vergine, un conto è gettarsi a capofitto, e purtroppo senza adeguata preparazione, nella natura selvaggia, che per sua natura non risparmia nessuno, nemmeno il più coraggioso dei viaggiatori.
Chris raggiunge l'Alaska nell'aprile del 1992 e vi resta per circa 5 mesi, nel periodo più favorevole a una vita spartana come la sua, senza cellulare, senza cibo, senza mappe. Vive in un vecchio autobus, raccoglie bacche, radici e frutti, legge molto, prova a cacciare, riflette su se stesso e sul senso della vita. Arrivando alla conclusione che no, la vita da eremita non fa per lui, che vuole tornare alla civiltà, ma non per immergersene, ma per utilizzarla come trampolino di lancio per costruirsi un'esistenza alternativa, in campagna, comunque in mezzo alla natura.
Ma quando il fato dice no, è no. Proprio quando decide di tornare, si vede bloccato dall'ingrossamento del fiume Teklanika, che nella stagione del disgelo è diventato un ostacolo impossibile da superare. Così torna al bus, in attesa di un momento più favorevole, ma è in questa attesa che accade l'imponderabile: Chris mangia delle bacche velenose e muore in pochi giorni, facendo solo in tempo a lasciare un'ultima, accorata invocazione di soccorso. Perché Chris non voleva morire, lui voleva vivere, in modo diverso, ma voleva vivere.
Dal libro al film
Sebbene in America avesse già sollevato un polverone mediatico, la vicenda di Chris McCandless è arrivata a noi solo nel 2008, grazie al capolavoro omonimo portato sugli schermi da un particolarmente ispirato Sean Penn. Il regista riesce a restituirci intatta la personalità di Chris senza sbavature, ma soprattutto senza indulgere in facili condanne. Una sospensione del giudizio che vi permette di entrare appieno nella vicenda, concentrandovi sulle motivazioni del giovane americano, sulle sue fragilità e aspirazioni, piuttosto che sull'incoscienza con cui ha pensato di poter sfidare le terre estreme.
Interpretato da un ottimo Emile Hirsch, il film ha dalla sua una fotografia eccezionale, che
riesce ad esaltare al massimo del loro splendore i già meravigliosi paesaggi incontaminati attraversati dal protagonista e una colonna sonora da brividi, affidata al genio e alla poetica di un musicista del calibro di Eddie Vedder, dei Pearl Jam.
Il film si chiude con un'autoscatto di Chris McCandless appoggiato al bus e con una frase, scritta dal ragazzo poco prima di morire, a mo' di lascito. Una sua ultima considerazione sul viaggio della vita, sulla sua fuga dal mondo, sui suoi propositi, ormai consapevole che non potrà più realizzarli: “Happiness is real only when shared”. La felicità è reale solo quando è condivisa. Un'illuminazione potente, come potente era stata l'esperienza.
Un libro, e un film, da vedere, a patto però di sospendere il giudizio. Lasciate perdere gli errori, l'incoscienza, l'ingenuità di un ragazzo che ha pensato di poter sfidare, solo e mal equipaggiato, la natura selvaggia.
Piuttosto, concentratevi sul suo mondo interiore, sul coraggio, la determinazione, ma soprattutto sui suoi ideali: potrete anche non condividerli, ma difficilmente potrete rimanervi indifferenti.
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