Patagonia Express: Sepúlveda e il suo viaggio alla fine del mondo
Breve recensione di Patagonia Express, uno dei tanti libri di viaggio scritti da un vero viaggiatore, che come pochi altri ha saputo raccontare una terra situata ai confini del mondo.
Patagonia Express è un grande classico della letteratura di viaggi, sebbene il suo autore abbia voluto dargli un taglio leggermente diverso dal solito. Un racconto di un viaggio, lento, via terra, via mare, in aereo, come si addice ai grandi viaggiatori, ma soprattutto un viaggio intorno all'umanità di quelle genti che vivono alla fine del mondo, dove le immense distanze e il clima impietoso finiscono inevitabilmente per forgiare caratteri, personalità e vicende personali.
Quando si parla di Patagonia, il pensiero non può che correre a Chatwin e se anche voi avete fatto questo parallelismo, sappiate che non vi siete sbagliati di molto. L'itinerario è lo stesso, la voglia di spingersi ai confini della terra anche, ma ciò che cambia fra In Patagonia,
dell'autore inglese, e Patagonia Express, dello scrittore cileno, è l'approccio.
Un approccio sottolineato dallo stesso Sepúlveda in un'intervistata rilasciata al quotidiano “La Stampa” nel 2011, in cui lui stesso afferma: “Chatwin non mi convince perché si è confrontato con il paesaggio, con la potenza della natura, mai con la gente”. L'autore di Patagonia Express, invece, è da sempre attratto dagli individui, dalle loro storie, dal loro incontrarsi e scontrarsi con la vita, anche quando vengono sconfitti.
Ed è così che Sepúlveda ci restituisce le genti della Patagonia: intense, vive, complesse come la natura in cui vivono, che costringe ad affrontare condizioni climatiche ai limiti della sopravvivenza e distanze inenarrabili, metafora di un isolamento che non è solo geografico, ma anche spirituale. Ma partiamo dall'inizio.
Patagonia Express: genesi di un libro
“Questo è un viaggio che iniziò molti anni fa, non importa quanti. Cominciò quel freddo giorno di febbraio a Barcellona, seduto con Bruce a un tavolo del caffè Zurich”. Non capita spesso di conoscere il momento esatto della genesi di un'opera letteraria, ma in questo caso, è lo stesso autore ad indicarcela.
Chatwin e Sepúlveda si incontrano un un bar. Il primo è un inglese ombroso, nomade per vocazione, che ha già viaggiato in Patagonia nel 1974, il secondo è un cileno, nomade per necessità, esiliato dalla dittatura cilena per la sua adesione al Partito Socialista e per aver fatto parte della guardia personale del presidente Salvador Allende. Esiliato solo dopo anni di carcere e torture, grazie all'intervento di Amnesty International, che riuscì a far commutare l'ergastolo a cui era stato condannato in esilio.
Ma torniamo al caffè di Barcellona. I due scrittori si incontrano e rievocano le gesta di Butch Cassidy e Sundance Kid, i due leggendari banditi che. dopo una vita dedita ad assaltare banche, si rifugiano ai confini del mondo per sfuggire alla giustizia. E tra un bicchiere e l'altro, quando l'ebbrezza alcolica giunge al culmine, i due progettano un viaggio in Patagonia. Ma il destino non favorirà questo sogno: in fondo Chatwin ha già percorso quegli angoli del sud del mondo e, chissà, forse già sapeva che non ci sarebbe mai più tornato, quando regalò al cileno una Moleskine, l'iconica agendina con l'elastico che a quel tempo era un po' caduta in disuso.
Ed è con questa agenda che riempirà di preziose annotazioni, uno zaino e l'amico fotografo Daniel Mordzinski, autore di spettacolari scatti in bianco e nero, che Sepúlveda parte per la Patagonia.
La Patagonia di Sepúlveda
“La Patagonia è una parte di me, del mio inventario sentimentale. Ho pensato questo libro come una storia di viaggi e ho scoperto che era una sorta di romanzo”. O come cita il sottotitolo, “un paesaggio dell'anima”.
Sepúlveda affronta il viaggio in modo diametralmente opposto all'amico Chatwin: certo, non manca di sottolineare la bellezza struggente del desolante paesaggio della Patagonia, ma si concentra per lo più sulle persone, anche quando la narrazione ondeggia fra il reale e il fantastico.
Ecco quindi lo sfortunato bambino, che stringe amicizia con un delfino e che in seguito alla scomparsa di questo, muore di tristezza. Il liutaio che recupera le traversine di una ferrovia
dismessa per costruire violini. Il contadino che trasporta il cadavere del suo amico, per arrivare dal notaio e tutelare la loro società e l'eredità della vedova, prima di seppellirlo. Il vecchio in fin di vita che viaggia verso casa, portandosi dietro la bara in cui verrà seppellito. Il fisico geniale, ex soldato dell'esercito nazista, che temendo il riemergere del proprio passato, decide di nascondersi “in questa parte del mondo, dove non si fanno domande e il passato è semplicemente una faccenda personale”.
Un campionario di umanità diverse, di storie complesse e ingarbugliate, come sempre sono le vite degli sconfitti. Ma Sepúlveda, sia per la sua storia personale, sia per i suoi ideali politici, ama gli sconfitti, che considera più ricchi e affascinanti dei vincitori: “I miei personaggi sono sconfitti che però non hanno paura, non temono la sconfitta. Sanno che è nelle regole del gioco, tirano avanti. A me affascina la gente che persevera, che non perde un briciolo di dignità”.
Questa è la Patagonia di Sepúlveda, una terra alla fine del mondo, come recita un celebre cartello eretto a Ushuaia. Una Patagonia che, come tutti i paese sotto il 42° parallelo, gode di un suggestivo fascino senza tempo e che per lo scrittore ha rappresentato l'occasione di tornare a casa, nel suo Cile.
Dalla navigazione sul mercantile Colono a Santiago del Cile
Lo scrittore cileno è stato lontano a lungo dal suo paese natio e quando gli dicono che può tornare, non perde tempo. Ma siccome Sepúlveda non è un uomo qualsiasi, decide che quella è l'occasione per un viaggio, ma un viaggio vero. Perché lo scrittore cileno è da sempre un viaggiatore, che non ha nulla che fare con i turisti.
Di questo viaggio, che si allunga anche sulle Ande e in Amazzonia, Sepúlveda ci restituisce intatte le sue emozioni, considerazioni, riflessioni sulla vita, ma soprattutto ci permette di
seguirlo nel suo itinerario, diviso in dodici tappe, dodici racconti per aiutarci a capire come mai la Patagonia sia un chiodo fisso nell'immaginario collettivo di qualsiasi vero viaggiatore.
Il viaggio di Sepúlveda inizia a bordo del mercantile Colono, passa per avventurosi
spostamenti in aereo e si arricchisce dell'emozione di salire a bordo del Patagonia Express, il treno conosciuto dai locali come la Trochita, la ferrovia più meridionale del mondo. Un treno leggendario oggi dichiarato monumento nazionale. Un modo di viaggiare riservato a quei pochi fortunati che non temono le distanze, la lentezza, l'avventura e l'imponderabile.
Un modo di viaggiare che porterà l'autore a terminare il suo viaggio a Santiago del Cile, dove incontra lo scrittore e esploratore Francisco Coloane, di cui Sepúlveda è grande ammiratore: “Lessi i suoi formidabili libri di racconti e i suoi romanzi quand’ero bambino e dalla loro lettura nacque il desiderio di viaggiare, di essere una specie di nomade, il prurito alla pianta dei piedi che mi spinge a vedere che diavolo si nasconde dietro l’orizzonte, a sapere come vivono, sentono, amano, odiano, mangiano e bevono, le genti di altre terre.”
Un lascito, questo di Coloane, che ha permesso a Sepúlveda di alimentare quella già innata propensione per la conoscenza, la condivisione, la curiosità di conoscere il mondo e che ha consentito a noi di leggere opere come Patagonia Express.
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Buona lettura e buon viaggio!
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