Un indovino mi disse: Tiziano Terzani e il viaggio
Una recensione di “Un indovino mi disse” non può prescindere dalla vita e dalle sfaccettature della personalità dello scrittore. Perché questo libro è qualcosa di più di un semplice libro di viaggio.
Indice dei contenuti dell'articolo :
Tiziano Terzani, giornalista e viaggiatore
1976. Tiziano Terzani è da un indovino cinese, che lo avvisa: “Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell'anno non volare. Non volare mai!”. Una persona qualunque avrebbe scrollato le spalle e tirato dritto per la sua strada. Ma Terzani non è una persona qualunque ed è proprio grazie a questa profezia che oggi possiamo godere della magia di “Un indovino mi disse”.
Tiziano Terzani, classe 1938, è stato un giornalista fiorentino, che più di chiunque altro ha saputo raccontare l'Asia: i suoi paesi e le loro guerre, gli usi e i costumi della gente comune e i privilegi delle classi politiche corrotte, la poesia dei luoghi incontaminati e gli orrori dei campi di concentramento della Cambogia.
In Italia il grande pubblico lo ha conosciuto soprattutto quando da giornalista si è tramutato in scrittore, producendo opere che meritano un posto d'onore nella letteratura di viaggio: “Pelle di Leopardo”, “Giai Phong”, “In Asia” e, ovviamente, “Un indovino mi disse”, che raccoglie la testimonianza di un anno trascorso in viaggio, senza mai prendere un aereo.
Terzani, infatti, all'alba del 1993, si ricorda di quella lontana profezia e la coglie al volo per fare ciò che nessun corrispondente si sarebbe mai sognato di fare: viaggiare per lavoro per un anno intero, senza mai volare.
Ora, un corrispondente per sua natura viaggia, e viaggia moltissimo, quindi possiamo solo immaginare lo stupore del suo datore di lavoro, Der Spiegel, alla richiesta del suo giornalista di punta in Asia. Eppure, il quotidiano accoglie la sua richiesta, senza la quale ci saremmo persi uno dei più bei libri di viaggio mai scritti.
Un indovino mi disse: un libro di viaggio e non solo
“La storia esiste solo se qualcuno la racconta”
Quell'anno diventa quindi l'opportunità per vivere un continente immenso, con la lentezza tipica di quelle genti, ben lontana dal convulso fare del mondo occidentale, nonché l'occasione per una serie di riflessioni esistenziali e sociologiche sul modo di essere e di vivere degli europei e del loro approccio alla vita.
“Appena si decide di farne a meno, ci si accorge di come gli aerei ci impongono la loro limitata percezione dell’esistenza; di come, essendo una comoda scorciatoia di distanze, finiscono per scorciare tutto: anche la comprensione del mondo.” Una comprensione del mondo che a un giornalista sta molto a cuore: questa è la sua missione e questa è la vera ragione del suo scrivere.
Dal Laos, dove festeggia il capodanno del 1993, si muove verso Bangkok, Malesia, Birmania, Malacca, Kuala Lumpur, Vietnam, Singapore, Cambogia, Cina, Mongolia. Terzani non si fa mancare nemmeno il più piccolo lembo del grande continente asiatico, che attraversa in lungo e in largo a bordo di qualsiasi tipo di veicolo: macchine, autobus, navi, mezzi di fortuna, percorre alcuni tratti persino a piedi. Ma non prende mai un aereo.
Da giornalista, presta particolare attenzione alla situazione geopolitica dell'Asia, all'emergere di nuove forze politiche, ai contrasti sociali, incontrando e parlando con genti umili e uomini potenti.
Ma da uomo curioso e mentalmente aperto, la sua attenzione è volta anche verso altro: verso una cultura ancora impregnata di antiche dottrine, di credenze ancestrali, di talismani e indovini, di profezie e riti propiziatori. Un viaggio all'insegna di una lentezza che il continente, l'Asia, stava per perdere per sempre, proiettato com'era verso una modernità che prometteva molto, ma al contempo toglieva tantissimo.
L'elogio della lentezza
“Più ci si guarda attorno, più ci si rende conto che il nostro modo di vivere si fa sempre più insensato. Tutti corrono, ma verso dove?”
Con questo libro Terzani dimostra che, oltre ad essere un grande giornalista-scrittore, è anche un vero viaggiatore, che usa la profezia dell'indovino per fare ciò che tutti i viaggiatori, quelli con la V maiuscola, sognano di fare almeno una volta nella loro vita: viaggiare via terra.
Il fascino di un treno sgangherato, la suggestione del varcare un confine a piedi, il sollievo per arrivare sani e salvi dopo chilometri percorsi su un mezzo di fortuna. Queste sono le emozioni a cui un viaggiatore vero non rinuncia mai. Ma siccome Terzani è anche un uomo di cultura e di pensiero, non può fare a meno di cogliere il senso più profondo del viaggiare via terra: la lentezza, che permette di assaporare i momenti, cogliere i dettagli e avere l'opportunità di conoscere quegli inattesi personaggi che contribuiscono alla crescita personale.
Una lentezza che non può fare a meno di contrapporre alla velocità con cui si muove l'occidente, lanciato in una folle corsa verso non si sa cosa cosa. Da qui, la critica al capitalismo, alla globalizzazione, alla perdita di un'innocenza che, se da una parte ha realizzato migliori condizioni di vita, ci ha allontano dal contatto con la natura. Una natura che per millenni è stata il sollievo e il punto di riferimento dell'uomo, che in lei poteva ritrovare quel ritmo ancestrale in grado di alleviare paure, dubbi e timori.
“Un indovino mi disse” è quindi, sì, il racconto di un lungo viaggio attraverso l'Asia, ma è anche la testimonianza di una profonda evoluzione personale e politica, di cui l'autore ha voluto metterci a conoscenza. Per fortuna.
Tiziano Terzani e il viaggio come metafora
“L'essere lontano mi faceva sentire a casa”
Quindi il viaggio come occasione di conoscere meglio un continente, ma inaspettatamente quell'anno senza aerei offre all'autore la possibilità di immergersi in pensieri più profondi sull'animo umano, sulle religioni, sul misticismo, la spiritualità e, ovviamente, il senso delle profezie.
Un peregrinare inteso quindi come un viaggio dentro se stessi, a cui aggiungere ogni giorno un tassello, una riflessione, una scoperta. Terzani si mostra molto incuriosito dagli indovini, al punto di incontrarne almeno uno, in ogni luogo visitato. Dalle fattucchiere cinesi ai monaci buddisti, il giornalista mette tutti alla prova, per capire se davvero dietro quella profezia che gli ha ispirato quella sorta di anno sabbatico, si celi davvero una verità.
Ovviamente una risposta certa non la troverà, ma forse non era nemmeno questo il suo vero intento. Per Terzani il viaggio, inteso anche come viaggio della vita, è solo un modo per conoscere e conoscersi, per apprendere senza pregiudizi, per cercare risposte autentiche e chiarificatrici. Un viaggio, questo, che alla fine si rivelerà lo spunto per un'evoluzione spirituale che, negli anni a venire, ormai minato dalla malattia, lo porterà a scrivere “Un altro giro di giostra”, il suo ultimo libro di viaggio, questa volta compiuto fra gli ashram e la spiritualità.
Ma per il momento siamo ancora nel 1993 e l'anno sta per terminare. Terzani trascorre il capodanno con Khun Sa, indiscusso re del narcotraffico, che gli rilascia un'intervista e poi si appresta ad attendere la fine dell'anno, che però secondo il calendario cinese termina l'otto febbraio. Ma lui non aspetta e impaziente di riappropriarsi della sua vita, prende un aereo e torna a casa, con due settimane di anticipo sulla scadenza della profezia.
Questo perché Tiziano Terzani non è superstizioso, non ha evitato di volare perché spaventato dalla predizione, ma perché ne ha colto il significato più profondo, quello di tutte le profezie: l'opportunità di porsi delle domande e, ovviamente, darsi delle risposte.
La domanda celata della profezia dell'indovino cinese era: sai cogliere al volo l'opportunità per evolverti come uomo? La risposta di Terzani è stata abbracciare un anno decisamente anticonvenzionale per un corrispondente, ma anche per qualsiasi altro uomo. E di quest'anno ne ha fatto l'occasione per riflettere sul mondo e su se stesso. Oltre che per viaggiare, ovviamente.
Ma per dirla con le sue parole “Viaggiare ha senso solo se si torna con una qualche riposta nella valigia”.
Comments